Gavina, donna d’altri tempi, amava cucire a mano gli abiti strappati e usurati del marito pastore, si interessava alla cultura e la sera leggeva i libri della nuorese Grazia mentre la domenica era solita intrecciare grandi ceste di vimini in compagnia delle chiacchiere delle amiche. Uso nella quotidianità di Gavina, sin dalla giovane età, era cucinare e preparare varie pietanze con le sue mani, senza l’aiuto di nessuno. Pranzi e cene erano i momenti in cui poteva mostrare le sue grandi abilità ma dava il meglio di sé durante le festività sarde, le sagre e il patrono del paese; infatti, ricercata da tutti, faceva le seadas migliori in tutto il circondario. Dorata e di giallo intenso come il sole, la seada col suo formaggio fuso è il simbolo della Sardegna nel mondo e lo è anche nel cuore di Salvatore che, cocco di nonna, era solito sostare lunghi pomeriggi a casa dell’anziana. Le serate a casa della nonna erano d’obbligo per Barore, così lo chiamava la donna dalle rughe segnate, ed insieme a lei carpiva gli insegnamenti che erano suggello delle innumerevoli leggende sarde. Salvatore mai avrebbe pensato che la nonna Gavina avesse un diario col lucchetto, nascosto nel comò affianco al letto ed incuriosito forzò l’apertura e iniziò la lettura. Pagina dopo pagina, capì che non era il diario dei segreti della nonna, neanche le lettere scambiate con un innamorato ma qualcosa di più prezioso: il diario delle ricette. Le ricette dei dolci sardi erano scritte con una chiarezza unica con indicate tutte le dosi, con annotato il numero delle persone che avrebbe deliziato, la magica preparazione divisa per fasi e affianco il modo migliore di assaporarla. Eccola lì, scritta come fosse un romanzo, la ricetta della seada posta lì al centro come per dividere il diario. “Piccole schiacciate di pasta e formaggio fresco passato al fuoco. Vengono fritte” così diceva l’autrice preferita di Gavina, Grazia Deledda, ed è il sunto perfetto per descrivere la preparazione. Salvatore concordava con la nonna che quando si gustava il dolce ci si ritrovava appagati in tutti i sensi: all’olfatto un profumo di miele intenso ricavato da api maestre, alla vista una palla rigonfiata e dorata con gocce che colavano sul piatto, al tatto sembrava essere morbida grazie al formaggio e croccante per i suoi lati spigolosi e al gusto una deliziosa conclusione di cene e ottime merende per i bambini.
La nonna di Salvatore, come tutte le nonne, custodiva gelosamente nel suo diario la ricetta. Un dolce apprezzato da tutti i visitatori di quest’Isola, rimarcando che un dessert così misterioso, tra il dolce ed il salato, fornisce benessere sensoriale ed amore per il cibo sardo.