Il coltellaio “matto”

Coltello a serramanico di linea sinuosa, affusolata e piacevole non ha rivali: è il coltello sardo. Costruita in tutte le sue parti e in tutte le aree della Sardegna, da Guspini a Gavoi e da Nuoro a Pattada, “sa resolza” è la protagonista di qualsiasi collezione e con le sue diverse forme completa una tradizione unica in Sardegna.

In tempi antichi, il coltello sardo era il protagonista della vita quotidiana del mondo agro-pastorale e veniva usato dal pastore per nutrirsi, per difendersi e per uccidere le bestie; ora, invece è al pari di qualsiasi altro gioiello sardo, impreziosito dall’unicità della lavorazione in tutte le sue parti. Un corno di montone o di muflone ospita tra le sue “guancette” una lama di ferro, di acciaio o di ottone che conferisce al prezioso strumento una diversa lunghezza, pesantezza e maneggevolezza.

In passato abili fabbri, come scultori d’acciai, recuperavano le varie lamine da vecchi calessi e vecchie baionette per poi forgiarli di preziose rifiniture arricchendo le modellature del coltello. Ore ed ore di lavoro, il forte calore del fuoco, le mani sapienti e la creatività del fabbro conferiscono un valore unico ad ogni singolo pezzo. Visitare il “Museo Internazionale Culter” di Pattada, paesino immerso nelle campagne logudoresi, pregia di una visione unica nel suo genere; pattadesi ricurve, di corno chiaro, di corno nero con sfumature di grigio, con lame a foglia di alloro o allungate e strette stupiscono gli occhi del collezionista che vorrebbe portasele tutte a casa. Il valore inestimabile attribuito ad ogni singola lama, per ogni centimetro di una lavorazione lunga e estenuante, attira molteplici visitatori e amanti del coltello da tutte le parti della Sardegna, e non solo, vista l’elevata percentuale di ospiti internazionali.

Amare la lama artigianale creata da uomini di elevata creatività fa assaporare un mondo di storia e di tradizioni che nessuno può imitare perché non è il coltello in sé e né l’insieme di materiali ma l’anima di chi li lavora ed inventa.

Alla scoperta del pecorino

Greggi di pecore passeggiano lungo le campagne verdi, e sostando sotto una quercia secolare, vengono sorvegliate dal loro guardiano, il cane pastore, che coi suoi colori riesce a distinguersi dalla lana di bianco puro. Il pastore, fa ritorno all’ovile solo la mattina, quando con fare gentile ed amorevole raccoglie il latte che gli viene generosamente concesso. E’ emozionante vedere il mutamento del latte; il fuoco acceso al centro della “pinnetta” con sopra il grande pentolone e l’uomo con le sue possenti mani che mescola arditamente il candido latte fino a ottenere quelle forme di pura genuinità. E’ intrigante il suo profumo, deciso e pungente il suo sapore; assaporarlo riporta alla mente quelle distese di selvaggia bellezza e il profumo della natura. Immagina uno spuntino nelle montagne di Orgosolo: una tavola posta su due grandi pietre sorregge i vassoi di sughero colmi di salumi, seduti tutti intorno, mentre sorseggiano un bicchiere di vino rosso, i pastori che con maestria muovono la pattadese nel cuore del Casizolu; oppure, immagina di passeggiare per le foreste ogliastrine e scovare tra gli alberi un ovile e al suo interno gustare, su un letto di pane carasau, la ricotta appena fatta dal pastore gentile. Non si vivono fantastici sogni ma favolose realtà, lasciandosi avvolgere dai profumi e dai sapori di ogni morso di Sardegna.

Pastore al lavoro
Pastore e forme